mercoledì 16 maggio 2007

Editoria da bar

Ieri ho parlato con Edo di lavoro. Lui lavora per un editore nazionale e io ho scelto di non occuparmi più di editoria cartacea.
Io, con gli editori, ho un rapporto particolare.
Si, perché sono un informatico e nasco come analista anche se scrivere mi è sempre piaciuto.
Così, partendo da un piccolo articolo pubblicato 15 anni fa su un giornale locale, un po' per voglia e un po' per sbaglio, sono finito a scrivere di informatica per varie testate.
Così ho scoperto un mondo intero che non pensavo esistesse e ho capito alcune cose:
- La prima è che le redazioni non sono come vengono raccontate nei film. Quasi impossibile trovare un giornalista che fa un'inchiesta "sul campo" e se ne occupa per mesi. La norma è che un'inchiesta deve occupare pochi giorni, a volte poche ore. Si fa spesso via Internet, si controllano poco le fonti (non c'è tempo).
- La seconda è che ho trovato diversi "colleghi" che non sapevano quello di cui stavano scrivendo. Con effetti anche piuttosto comici. Non dimenticherò mai i commenti entusiasti fatti da colleghi vari di un servizio per la stampa di foto inviate online: soltanto abbozzato, vecchio e malfunzionante. Ma con un'azienda disposta a spendere svariate migliaia di euro per portare tutti i giornalisti "interessati" e relativi partner in alberghi di lusso e in barca per 2 giorni, sul Lago di Garda, ammorbidendoli con una serie ampia di gadget.
- Da qui nasce il fatto che, come in molti altri ambienti, un'oliatina alle ruote permette di avere il supporto della stampa anche per cose assolutamente abominevoli. Questo nell'ambito informatico frequentato da me, figuriamoci quando ci sono in gioco interessi maggiori. La deontologia professionale di alcuni "giornalisti" che ho incontrato è un gradino più sotto di quella dei pedofili.
- Altra cosa che ho imparato è che i contenuti vengono sepsso sacrificati per rispettare la "gabbia" di impaginazione. Si saltano passaggi e immagini importanti perché non c'è spazio. Viceversa si possono trovare articoli pieni di fuffa, messa lì ad allungare il brodo per riempire una pagina.
- La penultima cosa che ho imparato è che la stampa cartacea lascia i lettori indietro nel tempo. Mi spiego meglio: oggi viene presentato in anteprima per la stampa un nuovo prodotto. Domani scrivo l'articolo, dopodomani si impagina e tra 2 settimane va effettivamente in stampa. Ci vuole 1 settimana circa per stampare la rivista e distribuirla... Quindi, tra 3 settimane, il signor X compra la rivista, legge l'articolo, cerca il prodotto nei negozi... E non lo trova. Perché, magari, ne è già uscito il mdoello nuovo. O perché la versione mostrata alla stampa aveva dei difetti che (se va bene) sono stati corretti.
- L'ultima cosa che ho imparato sulla mia pelle è che gran parte degli editori sfruttano il lavoro di persone nei coni d'ombra delle leggi. Si, perché NON tutti quelli che scrivono sono giornalisti. Io non lo sono, anche se ho scritto per oltre 10 anni e per più di 15 testate diverse. Solo che per diventare giornalista, l'Editore deve supportarti. Deve concederti almeno di firmare gli articoli. Solo che, se diventi giornalista, sei tutelato. Quindi, la maggior parte delle riviste esce senza nomi sugli articoli ma solo indicazioni nel colophon (la zona che riassume i nomi di tutti quelli che sono coinvolti direttamente o indirettamente con la produzione della rivista).
Sembra incredibile ma il meccanismo è semplice: o scrivi alle mie condizioni, oppure trovi un altro lavoro. lavoro non ce n'è... Quindi si tira avanti.
Ovviamente, la mancata tutela è totale: quasi mai si viene assunti ma si è costretti a lavorare come "liberi" profesisonisti. Ovviamente, le ferie non sono pagate, così come la malattia. Ovviamente, le spese sono a proprio carico. Ovviamente, farsi pagare può diventare un miraggio. Il record, con un editore che è stato acquisito da un altro, è stato di 6 mesi da quando mi dovevano pagare.
Ovviamente, nessuno paga a fine mese questi collaboratori: la norma è 30 giorni dopo la data fattura rispetto al mese di uscita in edicola. In soldoni si scrive a maggio un articolo che verrà pubblicato a giugno e pagato a luglio.
Una sequenza di ovvietà che rendono difficile gestire un bilancio familiare e certo non influiscono positivamente sul morale degli "addetti ai lavori".
Questi meccanismi, purtroppo, sono così... E non cambieranno mai perché ci saranno sempre i furboni che troveranno il modo di aggirare i paletti legali.
Quello che mi fa incazzare come una bestia, però, è che la presidenza dei ministri regali 409.304.260 euro agli editori. Ogni anno un po' di più e un po' di meno.
Una piccola parte serve effettivamente per tutelare le minoranze linguistiche o per far uscire giornali particolari. Ma gli altri? Perché devono essere sponsorizzate le testate dei partiti? perché dare soldi a editori che hanno come unico scopo quello di intascarli, facendo uscire giornali e riviste con tirature ridicolmente basse o che non vuole nessuno perché piene di fuffa? Si, perché non ci sono controlli di qualità di nessun tipo e non un solo euro è vincolato: può essere speso per gli stipendi, per comprare la carta, per qualsiasi cosa.
Perché dare soldi a chi già guadagna sfruttando il lavoro degli scribacchini? Più di tutto: come faranno mai questi giornali a sorvegliare il Potere e la Democrazia (secondo una vecchia teoria) se ricevono un benefit proprio da chi devono controllare?
C'è solo una cosa che mi viene in mente quando vedo qualcuno che deve controllare qualcosa che è sul libro paga di chi è controllato ed è dolorosissimo. Si chiama Vajont.
Eccoci qui, allora, nel Vajont di un'editoria in cui i "grandi" sanno benissimo che la loro carta è utile per accendere il camino ma, tranne che in rari casi, cercano di sfruttare Internet, il nuovo media, solo per fare altri soldi e contenere i danni. E noi, nuovi abitanti di Longarone, siamo qui, a farci distrarre da una partita del pallone. "Panem et circensis"

P.S.: Io ho salutato felicemente l'editoria. Non ne voglio più sapere. Voglio scrivere su cose che mi interessano e quello che mi piace. Ho un lavoro nell'IT che mi soddisfa moltissimo, che mi valorizza e in cui sono pagato bene e regolarmente.
Io sono un fortunato. Altri, purtroppo, non lo sono e sono ancora lì, a fare gli scribacchini.

Nessun commento: